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Moda in Toscana, Al Jazeera imbarazza Montblanc: «Subappalti sottopagati e opachi». La scena simbolo del docufilm

di Mario Neri e Giulia Poggiali

	Un frame del docufilm di Al Jazeera
Un frame del docufilm di Al Jazeera

La tv denuncia: «Una fabbrica cinese produce borse a 56 euro rivendute a oltre 1.000». Le reazioni dei sindacati

23 novembre 2024
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FIRENZE. Contratti poco chiari, se non addirittura inesistenti, commesse prese via Whatsapp, lavoro incessante e pause ridotte al minimo. Queste sono le condizioni di molti lavoratori e lavoratrici che si trovano costretti ad accettare una mansione per ditte che lavorano per le griffe più importanti che hanno scelto la piana fiorentina per delocalizzare. È il documentario di Al Jazeera a rendere pubblici i trattamenti e le condizioni che gli operai, perlopiù stranieri, sono costretti ad accettare pur di avere un'entrata.

Il docufilm e le reazioni dei sindacati

Il docufilm, realizzato dai filmmaker Lynn Lee e James Leong, dal titolo "Italy's Designer Sweatshops", mostra un mondo che il sindacato Sudd Cobas denuncia da tempo, ma con prove nuove. E ora imbarazza una firma del calibro di Montblanc.

La sigla da mesi si batte per i diritti degli operai in appalto della casa di moda rimasti senza lavoro dopo la loro sindacalizzazione: «Il documentario prova quanto abbiamo detto per 11 mesi, Montblanc ha tolto il lavoro perché i lavoratori si sono sindacalizzati. Il filmato mostra le condizioni di lavoro che l’azienda ha perpetuato andando a cercare sempre di più condizioni più opache», spiega Francesca Ciuffi di Sudd Cobas. Il documentario mostra la battaglia portata avanti dai sindacalisti e dagli operai pakistani e bengalesi che hanno avuto il coraggio di uscire allo scoperto per tutelare se stessi e le proprie famiglie. Un tortuoso percorso iniziato dagli stabilimenti di Z Production ed Eurotaglio di Campi Bisenzio. Dopo la sindacalizzazione dei dipendenti, e per sfuggire all’aumento dei costi di produzione e mantenere il massimo risparmio e ottenere il massimo profitto, il brand, spiega Sudd Cobas, «ha messo in atto una delocalizzazione “sotto casa”, spostando le commesse in un altro dei tanti capannoni del supersfruttamento nella provincia di Firenze».

La scena clou

I territori a cui il sindacato si riferisce sono Sesto Fiorentino e Seano. Fin dall’inizio Montblanc ha spiegato di aver sottratto la produzione dei suoi capi alla ditta di Campi non perché i lavoratori pakistani si fossero sindacalizzati ma perché non rispettava il codice etico anti-sfruttamento. Ma in una delle scene del docufilm, girato in gran parte con telecamera nascosta, i giornalisti entrano in una fabbrica di terzisti gestita da cinesi a cui la nuova ditta fornitrice di Montblanc gira le commesse. E si vede la “direttrice” raccontare di non avere nessun contratto e assumere cinesi perché «non si lamentano come i pakistani e lavorano 12 ore al giorno». Non solo. Spiega di confezionare borse di Montblanc a 56 euro l’una. Oggetti che in vetrina vengono venditi a oltre 1.000 euro. La battaglia sembra intensificarsi e pronta ad attirare l'attenzione di un pubblico più numeroso, ora che il documentario di Al Jazeera ha scoperchiato un mondo fatto di sfruttamento e precariato.

La domanda del sindacalista

Una vittoria, anche se relativa, per il sindacalista Luca Toscano: «Questo caso è molto emblematico perché rappresenta le condizioni delle intere filiere che troviamo vicino casa. La vera domanda è, adesso, quanto ancora vogliamo andare avanti così? Quanto ancora le istituzioni vogliono lasciare che in questo territorio i lavoratori continuano a essere sfruttati per profitti extra miliardari come quelli della Montblanc?». Impellente, per Sudd Cobas, il dialogo con le amministrazioni. «Non è più accettabile che le borse che troviamo in vendita a 2mila euro siano realizzati da lavoratori pagati 3 euro l’ora. Viviamo in una giungla di subappalti dove addirittura le commesse arrivano tramite messaggi WhatsApp. Noi chiediamo una clausola sociale che obblighi questi brand a garantire la continuità del lavoro a chi opera nelle proprie filiere. I brand in questione non producono nulla: il lavoro è fatto tutto da aziende esternate e chi lavora in quelle aziende deve essere riconosciuto come proprio lavoratore», conclude Luca Toscano.

La (non) risposta dell’azienda

Montblanc sapeva di questo subappalto? Abbiamo provato a chiedere a Montblanc una risposta ad Al Jazeera, senza ottenere risposta.


 

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