«La memoria per ricordare la lezione di Berlinguer»
L’ex leader del Pd racconta il suo film: «La politica come missione, non come mestiere» No comment su Livorno ai 5 Stelle. Il futuro: «Ciak sui sogni e le paure dei bambini»
di ANDREA ROCCHI
Hotel Martini, Castiglioncelo, ore 17,45. Walter Veltroni è appena arrivato da Roma. Il tempo per darsi una rinfrescata in camera prima di correre all’appuntamento “Parlare di Cinema”, intervistato da Paolo Mereghetti. Puntualissimo, si presenta prima alla stampa. Capisce che la curiosità, qui nel Livornese, è anche per la situazione politica locale. Il terremoto nella città dei Quattro Mori ha fatto il giro del mondo. E Veltroni che dice?
Ci proviamo, dunque, a chiedergli un parere. Lui, però, mette le mani avanti. «Ho fatto il militare a Cuneo, dai. Non parlo di politica, non mi estorcete parole che non voglio dire». Premessa, col sorriso, senza un velo di polemica. Come nel suo stile. Noi, però, ci riproviamo. Il risultato lo leggete poche righe sotto.
. Domanda d'obbligo: Veltroni, cosa direbbe oggi Enrico Berlinguer vedendo che Livorno, la rossa Livorno, dove nel 21 al Goldoni è nato il Pci, è oggi nelle mani del 5 Stelle?
«Ripeto, non sono qui per parlare di politica. E poi non mi piacciono quei tentativi di interpretare il pensiero di qualcuno che non c'è più, soprattutto se si chiama Berlinguer, adattandolo alla realtà di oggi. Ciascuno al suo tempo».
E Walter Veltroni, allora, che ne pensa?
«Parliamo di cinema, vai…»
Ci arrendiamo. Entriamo nel vivo del film, allora. Quale è stato il percorso di ricostruzione storica, documentale, il filo narrativo per raccontare il personaggio Enrico Berlinguer dalla parte di uno che era un ragazzo in quegli anni?
«L'idea mi è venuta guardando un film svedese, un documentario, dedicato a Olof Palme, un film molto bello. Mi sono chiesto perché in Italia non vi fosse questa abitudine di raccontare la storia di personaggi attraverso dei film, non solo fiction. Ne ho parlato con Andrea Scrosati di Sky che mi ha incoraggiato. Naturalmente io ero molto preoccupato nonostante il cinema sia stata una delle mie grandi passioni, non ho mai fatto un film in vita mia. Però erano due grandi amori di una vita, la politica (Berlinguer in particolare) e il cinema. Avendo vissuto da spettatore o in qualche caso da protagonista quegli anni, sapevo dove andare a cercare. E avevo un'idea narrativa, raccontare la grandezza dell'innovazione che Berlinguer ha introdotto nella storia del Pci e raccontarla con gli occhi di uno di quei milioni di italiani che fu conquistato da questo personaggio».
Un Veltroni attratto dalla figura di Berlinguer…
«Alla fine è venuto questo filo narrativo in cui io sostanzialmente mi identifico con uno di quei milioni di italiani che ha portato il Pci dal 25 al 34%. Ho cercato di raccontare soprattutto il suo modo di far politica, la sua passione per la politica, cercando di spiegare che la politica può anche essere bella. Mi rendo conto che questo è un tempo in cui è difficile sostenerlo. Però può essere anche molto bella. Berlinguer lo ha dimostrato nella sua vita ma anche nella sua morte».
Il film parte con uno spaccato se si vuole inquietante di giovani e non solo (c’ è anche qualche professore), che non sa chi era Enrico Berlinguer...
«Non volevo che il film avesse un carattere celebrativo e apologetico. Ecco perché sono partito anche da questa carrellata di interviste. Credo che coltivare la memoria sia un esercizio fondamentale ed io ho come un’ossessione per la memoria. Però è la memoria che è fondamentale per impedirci un giorno di diventare cattivi e violenti».
Cosa le dicono le persone che vedono il film, da cosa rimangono colpite?
«Guarda la cosa che mi ha fatto più piacere fin dalle prime proiezioni è la grande commozione che questa storia porta. E che non è scontata. Quando il cinema è in grado di commuovere è sempre qualcosa di molto intenso, di molto bello. Commozione che non è nostalgia che finisce poi con l’essere nostalgia di come eravamo noi quel tempo, anche perché di quel tempo non c’è molto di cui avere nostalgia. Era un tempo in cui si sparava per strada, ragazzi di destra e sinistra venivano ammazzati per le loro idee. Era il tempo delle stragi, di Sindona, di Calvi. Non c’è niente da rimpiangere, salvo alcuni uomini che hanno incarnato l’idea della politica nel modo migliore: Berlinguer, Moro, La Malfa, Nenni. L’altro sentimento che mi sembra di vedere è l’idea che Berlinguer esprimesse una concezione della politica moto alta, di missione e non da mestiere. E ciò è quello di cui la politica ha bisogno.
Ha detto che non si presta ad operazioni di trasposizione del pensiero di una persona scomparsa per interpretare i fatti dei nostri giorni. Ma a Walter Veltroni cosa rimane della lezione di Berlinguer, penso - per esempio - alla questio morale?
«Tu hai citato una cosa importante che è la questione morale. Per dire che Berlinguer aveva quest’altra caratteristica, era uno che anticipava sempre i tempi, che diceva cosa scomode, le diceva prima che accadessero, anche con il coraggio di sfidare il suo mondo. Pensa, Berlinguer nel gro di 2 anni ha proposto alla sua gente di governare con la Dc, di considerare che si stava più sicuri sotto la Nato che col Patto di Varsavia, che la proprietà privata non era un furto. Ha introdotto elementi di rottura epistemologica nel linguaggio, nella storia del Pci. La questione morale è uno di questi elementi. Aveva ragione allora e purtroppo ha ragione oggi».
Un personaggio, Berlinguer, che ha saputo convogliare l’attenzione su di sè e sulle sue idee anche da parte di chi non era comunista, no?
«Penso alla mia storia. Io provenivo da una famiglia antifascista, ma non comunista. Ho avuto una formazione di tipo democratica, sono cresciuto nei valori della bellezza della libertà. Tante persone non ideologicamente comuniste, non organiche al partito, si riconoscevano nel Pci di Berlinguer, penso ad intellettuali come Moravia, Pasolini, Spinelli. Anche questa è stata la grandezza di una persone come Enrico, una persona di rottura».
Le è piaciuto fare il regista?
«Si, mi è piaciuto. Tanto è vero che sto facendo già un altro film. Sto raccogliendo una serie di interviste a bambini dai 9 ai 13 anni, in tutta Italia. Chiedo loro di parlarmi di un po’ di tutto, della vita, delle loro paure, dei loro bisogni. Anche questo grazie al supporto di Sky».
Insomma, con la politica ha smesso?
«Non si smette mai di fare politica. Se si ama la politica la si fa sempre. Io l’ho sempre fatta a modo mio, non riuscendo mai a distinguere la politica dalla cultura. Politica è rispetto delle idee, non sono mai stato uno che respingeva le idee degli altri. Il punto di vista altrui l’ho sempre reputato importante, un elemento della democrazia».
L’intervista finisce qui. Veltroni lascia l’hotel per raggiungere la Limonaia, in compagnia del sindaco Franchi. Qui parlerà ancora del suo film, da regista esordiente. La proiezione la sera alle 22.
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