Il Tirreno

Toscana

I veleni della mafia

Keu, si allarga la contaminazione: ceneri tossiche trovate in nuovi siti in Toscana

di Mario Neri
Keu, si allarga la contaminazione: ceneri tossiche trovate in nuovi siti in Toscana

Non sono solo 13 le aree di sversamento di sostanze pericolose oggetto di inchiesta

30 aprile 2024
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Non importa siano passati tre anni dall’esplosione del caso. Il sasso lanciato nello stagno della Toscana dei veleni dall’inchiesta della Dda di Firenze sul traffico illecito di rifiuti e le possibili infiltrazioni mafiose nella gestione dello smaltimento del keu continua ad allargare i centri concentrici della superficie che potrebbe essere stata contaminata.

A pochi giorni dall’udienza preliminare che dovrebbe decidere del rinvio a giudizio di 24 persone fra imprenditori, politici e dirigenti pubblici, si scopre infatti che i siti inquinati dalle ceneri tossiche disseminate in giro per la regione da Francesco Lerose – accusato dai pm di aver consentito al consorzio Aquarno di risparmiare sullo smaltimento di un rifiuto speciale e di averlo fatto avvalendosi di ditte vicine alle ndrine – sono molti di più dei 13 finora racchiusi nel perimetro dell’inchiesta della procura fiorentina.

A confermarlo al Tirreno è anche l’assessora regionale all’ambiente Monia Monni: «Sì, al momento Arpat, in accordo con la magistratura, sta svolgendo una serie di verifiche su riscontri documentali che segnalano la presenza di keu in altri siti rispetto ai 13 dell’inchiesta. E stiamo facendo i controlli sul posto per accertare se alla documentazione corrisponda e in che misura una contaminazione». Alcuni risultano effettivamente contaminati? «Li stiamo verificando, però sì, ci sono». L’assessora non può rivelare né dove né quali siano gli altri siti nel mirino, anche perché potrebbero aprire un nuovo filone di inchiesta.

Ma conferma che ci sono. Dunque, dalle carte del processo emerge lo spettro di aree inquinate finora sconosciute, zone da risanare e in cui negli anni potrebbero essere stati interrati cromo, cadmio, nichel, rame, selenio, zinco e altre sostanze pericolose. Una notizia che piomba sulla Toscana a pochi giorni dalla sentenza del Tar che accoglie il ricorso presentato contro la Regione da due aziende a cui la giunta Giani aveva ordinato la bonifica di una delle 13 zone rosse inquinate da keu e altri rifiuti speciali, la Tca e la Chimet di Arezzo. Ad entrambe era stato chiesto di pagare il risanamento ambientale dell’area delle Valli di Bucine, gestita proprio da Lerose. Secondo i giudici amministrativi, però, a pagare e ad assumersi l’onere della bonifica dovrebbe essere non chi ha trasportato nel sito inquinato i rifiuti speciali, ma solo chi avrebbe dovuto gestirli, stoccarli, smaltirli e perfino trasformarli per evitare che diventassero veleni. E se il responsabile dell’inquinamento si rifiuta di riparare al danno ambientale, a farlo dovrà essere l’amministrazione pubblica. La Regione, le Province, i Comuni.

A stare ai giudici amministrativi, infatti, l’unico a dover accertare la qualità dei rifiuti attraverso i cosiddetti "test di cessione" e a garantire che fosse possibile smaltirli o utilizzarli per recuperi ambientali, nell’edilizia o nella realizzazione di strade, doveva essere proprio Lerose. Spettavano a lui i controlli, a lui la certificazione. Una volta ottenuta quella, anche chi fosse venuto in possesso del materiale prodotto dai suoi impianti non sarebbe stato tenuto a preoccuparsi della loro reale pericolosità. Un principio che, se venisse confermato anche dal Consiglio di Stato, la Regione teme possa essere applicato anche a tutti i privati che dovrebbero fare le bonifiche negli altri siti contaminati.
 

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