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Ayrton Senna, i bisnonni sono toscani: chi sono, dove hanno abitato e come si è arrivati alla scoperta

di Luca Cinotti

	Ayrton Senna, a sinistra l’atto di nascita della sua nonna materna, Marcellina Di Santoro, classe 1909
Ayrton Senna, a sinistra l’atto di nascita della sua nonna materna, Marcellina Di Santoro, classe 1909

Chi sono i protagonisti di una storia che fino a pochi mesi fa non era conosciuta in tutti i suoi dettagli

01 maggio 2024
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PORCARI. I motori nel cuore, l’Italia nel destino. Un gomitolo inestricabile quello tra Ayrton Senna e il nostro Paese. Da una parte sappiamo tutti dove il filo si spezza: Imola, l’incidente al Tamburello, poi l’ospedale Maggiore di Bologna. Meno conosciuto il luogo da cui la matassa si dipana: Porcari, comune della Piana lucchese oggi conosciuto per essere casa di alcuni dei più grossi produttori di carta al mondo. Ma alla fine dell’Ottocento a essere esportate erano le persone: in migliaia partirono per attraversare l’oceano e cercare un futuro per sé e per le proprie famiglie. Tra loro i bisnonni di Senna, diretti verso il Brasile.

Si tratta di una scoperta recente, dovuta all’impegno di Giampiero Della Nina, commercialista, scrittore e appassionato di storia locale. Si sapeva, infatti, che la famiglia Senna aveva origini italiane, per il ramo della madre Neyde. In particolare, da anni è assodato che due bisnonni provenivano dal sud: Giovanna Magro da Siculiana (Agrigento) e Luigi Sena da Scisciano (Napoli). Da quest’ultimo derivò, con un raddoppio della “n” il cognome Senna. Ma sono gli altri bisnonni a legare il pilota alla Toscana: più fonti citavano Porcari come zona di origine, ma senza ulteriori specificazioni.

Una di queste fonti arriva casualmente all’orecchio di Massimo Della Nina, figlio di Giampiero. Occhio alle date, perché non sono casuali: «A chiamarmi, il 1° maggio dello scorso anno, fu un amico che aveva visto su Wikipedia che alla voce “Ayrton Senna” venivano indicati degli avi di Porcari, senza alcun dettaglio in più», ricorda Della Nina jr. Il 1° maggio, dunque: un anno fa tondo tondo ma, soprattutto, la data che nella memoria di tutti coincide con la tragedia di Senna.

È da questa indicazione, data quasi per caso e senza molti punti d’appoggio, che i Della Nina, padre e figlio, entrano in azione lavorando su due fronti: da una parte si mettono in contatto con l’ambasciata brasiliana; dall’altra collaborano con don Americo Marsili, parroco di Porcari e custode degli archivi nei quali è scritta la storia – non solo religiosa – della comunità.

Così, piano piano, la nebbia si dirada. Il primo punto fermo che viene messo nero su bianco è quello dei nomi: Raffaele Di Santoro e Maria Servilia Di Santoro. Di loro, nei documenti disponibili in Brasile, non vengono riportati gli estremi dei genitori, facendo intuire che sono nati altrove – a Porcari, appunto.

Così, grazie ai fogli della parrocchia, si fa un passo indietro nelle generazioni e uno avanti nella ricostruzione dell’albero genealogico: Raffaele Di Santoro, classe 1862, è figlio di Francesco e di Maddalena Borelli. Maria Servilia, sua cugina nata nel 1875, ha come genitori Arcangelo e Maria Rosalia Pollastrini.

Con pazienza certosina si ricostruiscono le date delle emigrazioni. Parte per prima Maria Servilia, con la sua famiglia, nel 1885, imbarcandosi da Genova con direzione San Paolo. Stessa rotta, due anni più tardi, per Raffaele. Nella città brasiliana, già forte di una comunità di emigrati toscani e lucchesi, Raffaele e Maria Servilia si ritrovano e dopo pochi anni si sposano: è il 13 agosto del 1892. Dalla loro unione, nel 1909, nasce Marcellina Di Santoro, la nonna materna di Ayrton. Che per inciso è stata l’unica tra i quattro nonni ad avere la soddisfazione di vedere il nipote vincere il suo primo titolo iridato, nel 1988 alla guida della McLaren: Marcellina sarebbe morta l’anno successivo.

Nessuno dei due bisnonni porcaresi, invece, è riuscito a conoscere il bisnipote: Maria Servilia è morta nel 1948, il marito Raffaele nel 1956, quattro anni prima della nascita di Ayrton.

Una storia che fino ad agosto dello scorso anno non era conosciuta in tutti i suoi dettagli, nonostante la Lucchesia sia un territorio che ha dimestichezza con i motori. Gli amanti della storia citano senz’altro Eugenio Barsanti e Felice Matteucci, gli inventori del primo motore a scoppio a combustione interna a metà dell’Ottocento. Ma non occorre risalire così indietro nel tempo. Nel 1935 Tazio Nuvolari batté l’allora record mondiale di velocità portando la lancetta del tachimetro a 364 km all’ora nel tratto della Firenze-Mare tra Lucca e Altopascio. Ancora più recente la storia di Mario Andretti, campione del mondo di F.1 nel 1978 ed esule di Pola, sfollato nel dopoguerra a Lucca, dove si avvicinò al mondo dei motori lavorando come giovane aiutante in un’officina: per tutto questo qualche anno fa Andretti è stato insignito della cittadinanza onoraria. Ora l’ultimo anello di questa catena tra Lucca e la velocità: il più fragile, forse, ma di sicuro quello che brilla di più.

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