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Ayrton Senna, l’ultimo regalo: quelle foto choc subito distrutte

di Francesca Bandinelli

	Angelo Orsi e Mirco Lazzari
Angelo Orsi e Mirco Lazzari

La tragedia del pilota brasiliano negli scatti degli amici Mirco Lazzari e Angelo Orsi: «In molti ce li avrebbero pagati a peso d’oro»

01 maggio 2024
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L’immagine che gli è rimasta negli occhi è quella dell’uomo. Immortalato lì, nell’area box, giusto prima del warm up.

Ayrton. Una delle ultime foto gliel’ha scattata lui, Mirco Lazzari, con l’obiettivo puntato dritto negli occhi, quasi a volerne catturare l’anima, da combattente, agguerrito ma leale. Senna era così, campione capace di non elevarsi mai, semmai attento a circondarsi di persone vere, pure, senza maschera. “Magic”, del resto, non lo era a caso, perché 41 Gran premi e la sesta posizione della classifica dei piloti più vincenti della storia della Formula uno, non si conquistano né per caso né solo grazie all’ingegneria.

Ayrton avrebbe voluto dedicare quella giornata, il Primo maggio 1994, al ricordo dell’amico e collega Roland Ratzenberger, morto il giorno prima per un primo surreale scherzo del destino, sempre in quel maledetto Gp di San Marino, alla curva Villeneuve. Aveva predisposto tutto. Ma il suo tempo è scaduto prima del previsto: la clessidra ha lasciato scivolare i suoi granelli senza rispetto.

Mirco Lazzari, curatore del progetto “Magic” (la mostra allestita al museo di San Domenico a Imola dedicata ad Ayrton Senna), fotografo di professione, allievo di Angelo Orsi, picture editor bolognese di fama internazionale e storico fotoreporter del settimanale Autosprint, in quegli anni era soprattutto archivista della rivista di motori della Conti editore. In occasione dell’appuntamento di Imola, però, quel giorno di festa, sulle curve del circuito c’era anche lui. Insieme al suo maestro, davanti al mito, l'icona dell'automobilismo. «Avevo dato il mio Ciao, il motorino, a Angelo, in modo che potesse muoversi lungo il circuito. Arrivò con quello, al Tamburello pochi istanti dopo l’impatto di Ayrton, alle 14,17. Questione di pochissimo tempo. I commissari ci avevano detto che era lui il pilota coinvolto. Ma ripetevano anche: “Si muove, si muove”. All’inizio non abbiamo avuto percezione del dramma. A seguito del forte impatto, i nervi, evidentemente, gli provocavano dei movimenti istintivi, non certo guidati dalla volontà. Si muoveva per quel motivo. Angelo, non appena arrivato sul posto, cominciò a scattare, quasi in risposta allo choc. Io rimasi perplesso, nel viaggio di rientro, verso Bologna, dal suo silenzio. Capii subito che c’era qualcosa che lo bloccava. Il loro legame era fortissimo. È riuscito a riparlane tantissimi anni dopo, in occasione dell’altra mostra che avevamo allestito in suo ricordo, per i 25 anni dalla sua scomparsa. Basti sapere che, ogni tanto, Ayrton arrivava a Bologna, nella palazzina di fronte alla Conti Editore, dove vivevano i giornalisti. Chi abitava in quel palazzo, all’ascensore, rischiava di trovarsi faccia a faccia con lui, con Ayrton. L’uomo che domandava sempre come stesse il figlio di Angelo, il suo primo tifoso, ma chiedeva anche del suo gatto, tanto erano diventati amici. Questione di empatia. Con lui era impossibile non averla».

Quando entrambi tornarono in redazione, capirono subito che il dramma era stato immortalato, che il dolore era rimasto impresso nei fotogrammi, impossibile da nascondere. «Quando l’elisoccorso si alzò dalla pista, avevo la pelle d’oca – continua Lazzari –. Avevo sentito di quanto la situazione fosse complicata, le parole dei medici erano fendenti. Quelle foto sono rimaste sigillate nel cuore di pochissime persone, tra cui il direttore di Autosprint, Carlo Cavicchi. Angelo non ebbe dubbi nel dire che dovevano essere distrutte: era quella la sua ultima carezza all’amico. Nessuno ebbe da ridire, erano agghiaccianti. Ci chiamarono da tutto il mondo, erano pronti a pagare quelle istantanee a peso d’oro. Decidemmo di tagliare ogni fotogramma, utilizzando soltanto quelli in cui non si vedeva il volto e quel maledetto pezzo di sospensione entrato nel casco come un proiettile. All’epoca, ci saremmo potuti comprare un appartamento a Bologna. Ma l’amicizia non si compra».

Il nastro della memoria viaggia a scatti. Il percorso fotografico organizzato in “Magic”, la mostra fatta di 94 scatti selezionati da Angelo e Mirco – «Siamo partiti da oltre un migliaio, ma la faccenda si è fatta dura nel ridurre da 200 a 94. È stato creato anche un portfolio, una sorta di libro-catalogo delle immagini in mostra: solo immagini, senza parole» –, come quell’anno maledetto, è un sussulto di emozioni. Perché in quelle istantanee, pochissime delle quali al volante o comunque in tenuta da Formula uno, ciò che emerge è soprattutto l’uomo, quello dallo sguardo profondo, capace di catturare le sfumature e di portarle sempre in primo piano, perché Ayrton era così, totalizzante, in grado di non sottovalutare niente.

Il primo spavento, se l’era preso dopo l’incidente a Rubens Barrichello, nel venerdì di prove libere. «Ricordo la paura nel suo sguardo – continua Lazzari –. Fu uno dei primi a volersi recare sul luogo dell’incidente, impressionato dallo schianto con cui il brasiliano disintegrò la sua Jordan a 200 chilometri all’ora. Si, è vero, aveva conquistato la pole provvisoria, ma la sua testa era al fianco dell’amico». Esattamente come successo il giorno dopo, con Ratzenberger. «Ayrton chiamò l’amico Angelo e gli disse che, in caso di vittoria, avrebbe dovuto farsi trovare pronto alla Tosa. Sarebbe salito sulla sua vettura, in una specie di antesignano del moderno cameracar, per scattare una foto mentre lui davanti sventolava due bandiere, la sua del Brasile e quella dell’Austria, in memoria di Roland. Questo scatto mancato è il più grande rimpianto dell’amico Angelo».

Ma chi era Ayrton Senna? «Il bello di uno sport che lo ha consegnato all’immortalità. Camminare davanti alle sue immagini, lungo l’allestimento della mostra, con scatti rigorosamente in bianco e nero, perché i ricordi si cristallizzano così, e sentire le voci dei ragazzi di oggi che non lo hanno mai visto correre ma che ne conoscono ogni particolare è qualcosa che non ha prezzo».

La vita che va oltre alla morte, il mito che si alimenta come un fuoco di passione. «Personalmente lo ammiravo tantissimo. Dopo la morte di Villeneuve mi ero ripromesso di non tifare più per nessun pilota, solo per la casa costruttrice. Le promesse, però sono fatte per essere rimangiate e così è stato. Mi è sempre piaciuto quel suo modo di essere tranquillo e determinato, radicato alla sua terra e cittadino del mondo». «Grazie al potere della tua mente – disse una volta Senna – alla tua determinazione, al tuo istinto e grazie all’esperienza puoi volare molto in alto». Lui lo ha fatto. Mirco e Angelo lo hanno imparato standogli accanto, in tanti lo capiranno ancora di più osservando i particolari dei 94 scatti della mostra. Scatti di vita diventata immortale. Scatti di un fenomeno.


 

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