Il Tirreno

Lucca

L’intervista

Lucca, il presidente di Confcommercio dopo le chiusure in centro: «C’è ancora tempo per salvare i nostri negozi»

di Gianni Parrini
Lucca, il presidente di Confcommercio dopo le chiusure in centro: «C’è ancora tempo per salvare i nostri negozi»

Rodolfo Pasquini: «Gli affitti sono calati, ma per tanti imprenditori sono ancora non sostenibili»

05 maggio 2024
6 MINUTI DI LETTURA





LUCCA. Il mondo del commercio lucchese cambia pelle e lo fa anche l’associazione che meglio lo rappresenta, ovvero Confcommercio. A fine giugno l’associazione che ha sede a palazzo Sani sarà alle prese con le elezioni per il rinnovo delle cariche. Ne abbiamo parlato con il presidente uscente Rodolfo Pasquini, entrato in Confcommercio nel 1978 come fattorino e dà li arrivato al vertice.

Presidente, ha letto delle tante chiusure che si stanno verificando in Fillungo, da Tenucci a Pierini. Che sta succedendo?

«Che Lucca stia cambiando la sua immagine commerciale è innegabile: sempre più catene e sempre meno negozi di pregio che facevano arrivare gente da fuori. La chiusura di queste attività storiche dipende da fattori diversi: Pierini ha chiuso per un mancato ricambio generazionale e la stessa cosa è successa ad altri. Alcuni imprenditori invece hanno avuto difficoltà finanziarie. Il caso di Tenucci è diverso: ha scelto di continuare l’attività in un fondo che presenta un minor impegno economico, ma che gli consente di mantenere la sua clientela».

Si dice spesso che il costo degli affitti è troppo altro ma negli ultimi quattro anni i canoni sono calati del 20 per cento.

«È vero, gli affitti sono diminuiti, ma continuano a essere un fattore che incide perché non tutti possono permettersi certe cifre. Non scordiamoci che il Covid ha ridisegnato dal punto di vista economico la geografia delle attività. Nell’abbigliamento l’avvento della grande distribuzione ha messo in crisi i negozi storici, molti dei quali hanno preferito ricollocarsi in fondi meno costosi. Del resto, un imprenditore che si trova in difficoltà ha solo due modi per tagliare le spese: o interviene sul personale o interviene sul canone di locazione».

Il rischio è che Lucca perda identità e abbia una via del commercio uguale a quella di tutte le altre città, con catene e franchising?

«È un allarme che lanciamo da tempo ma bisogna anche dire che il nostro centro storico sta soffrendo meno di altri da questo punto di vista, perché mantiene pur sempre attività di qualità e con un certo grado di appeal che altrove non si trovano. Bisogna individuare gli strumenti, anche normativi, per far sì che questa tradizionalità possa continuare».

In questo mutamento c’entra anche il boom del turismo?

«Indubbiamente. Qui i grandi flussi di visitatori sono arrivati anni dopo rispetto ad altre città toscane, ma ora stanno facendo sentire il loro impatto. Dobbiamo mantenere un giusto rapporto fra grossi numeri e turismo di qualità, quello che cerca il buon cibo, le buone scarpe e i buoni abiti. Nel complesso una qualità di vita che ancora ci caratterizza e ci consente ancora di stare seduti a un tavolino senza essere assediati da orde di turisti».

Buona qualità ma non eccellente: qui Gucci, Prada e Louis Vuitton non arrivano. Neppure Zara. E nemmeno la Apple. Perché questi marchi ignorano Lucca?

«È una cosa su cui bisognerebbe riflettere. Anni fa abbiamo cercato di far arrivare Zara, o comunque una media distribuzione commerciale che fosse di richiamo per i giovani, ma non ci siamo riusciti. Errori da parte delle amministrazioni? Non credo. Sia quelle attuali che quelle passate hanno fatto il possibile per favorire l’arrivo di marchi di qualità. È anche una questione di strategie commerciali e di marketing. Fielmann, ad esempio, ha scelto di chiudere una decina di negozi in tutta Italia, tra cui quello di Lucca, perché probabilmente l’analisi che aveva fatto della nostra zona non si è rivelata corretta».

Lei prima parlava di strumenti normativi adeguati. Il limite dei 250mq di superficie per le attività commerciali finora è stato soprattutto un ostacolo.

Tanti anni fa lo era, poi quando è stata data la possibilità di crescere chi lo ha voluto fare lo ha fatto. I problemi sono anche di altro tipo, ad esempio riguardano proprio la struttura dei nostri fondi commerciali. Quelli posizionati nelle zone di maggior appeal in molti casi sono piccoli e hanno una o due vetrine soltanto. I marchi di cui parlavamo, invece, sono abituati ad avere spazi ampi, 4-5 vetrine e magari anche più di un piano a disposizione. È difficile anche mettere insieme più fondi vicini perché spesso le proprietà sono diverse e tutto si complica.

Se dovesse dare un consiglio per salvaguardare l’identità del commercio lucchese cosa suggerirebbe?

«Abbiamo cercato di promuovere piani delle funzioni adeguati e di mettere un freno alla liberalizzazione delle licenze perché avrebbe portato alla proliferazione di un certo tipo di attività. Il nostro mondo è profondamente cambiato e indietro non si torna ma credo che la conservazione di un luogo come questo, includendo anche l’area di Massa Carrara, debba stare a cuore a tutti. Sono territori diversi ma la sfida che hanno di fronte è la stessa: garantire la sopravvivenza del piccolo commercio, stretto tra l’e-commerce, la grande distribuzione e le spese crescenti. Parliamo dei costi: quelli che gravano sulle spalle del piccolo negoziante non sono proporzionali a quelli delle grandi catene. Questo è un altro punto su cui si deve intervenire».

Veniamo a Confcommercio. Si parla di riorganizzazioni e di unioni con altri territori. C’è del vero?

Andiamoci piano, abbiamo già fatto Lucca-Massa Carrara e stiamo ancora uniformando tecnologie e protocolli tra le due sedi. Ma se la politica stabilirà che si debbano fare nuovi accorpamenti delle Camere di commercio, le associazioni di categoria si adegueranno».

È già partito il toto-successione. Non ci sono candidature ufficiali ma i nomi che girano sono quelli di Bonino, Pomini, Lanza, Cosentino. Che ne pensa?

«Non indico nessuno perché le assemblee vengono convocate proprio in questi giorni. Chi si vuol candidare deve farsi avanti 35 giorni prima dell’assemblea dei soci che poi dovrà eleggere il presidente con cento firme a sostegno della propria candidatura. Credo che il nominativo debba venire fuori dalla rosa membri della giunta attuale. Che il nuovo presidente sia giovane o anziano non è fondamentale, l’importante è che sia una persona di esperienza. I nomi che ha fatto rientrano in questo profilo, sono tutte persone che, per un verso o per un altro, almeno una volta alla settimana salgono le scale di palazzo Sani».

Serve anche un imprenditore che abbia il tempo di stare dietro alle necessità dell’associazione. Lei ha rappresentato un unicum non venendo da quel mondo. E lo resterà viste le modifiche statutarie che stabiliscono che d’ora in avanti il presidente sia un imprenditore.

«Con il senno di poi dico che è stata una fortuna: con quello che abbiamo passato durante il Covid non sarebbe stato facile per un imprenditore spendere dieci ore al giorno dietro alle difficoltà delle 6mila aziende del territorio».

Si dice che se le elezioni comunali fossero andate diversamente l’avremmo trovata a palazzo Orsetti a fare l’assessore al commercio. La politica l’attrae?

«In un ruolo come il nostro si ha a che fare con la politica ma a me non piace schierarmi da una parte o dall’altra. Diciamo che se qualcuno me l’avesse proposto non avrei accettato visto che avevo ancora due anni di presidenza in Confcommercio. Cosa farò adesso? Sono pronto a tutto, a patto che questo tutto mi piaccia. Intanto continuerò a mantenere la carica di vicepresidente vicario in Camera di Commercio che già mi impegna parecchio. Dopo l’estate vedremo cosa succederà. Mai dire mai».

© RIPRODUZIONE RISERVATA


 

Primo piano
Il caso

Fiat Topolino sequestrate a Livorno, Stellantis si difende e annuncia: «Toglieremo gli adesivi» – Video